Come ha fatto Venere, la gemella della Terra, a perdere la sua acqua?


Gli scienziati potrebbero aver risolto il mistero dietro la scomparsa dell’acqua su Venere, pianeta un tempo simile alla Terra, ma ora arido e inospitale. Questa rivelazione solleva domande cruciali sull’evoluzione delle atmosfere planetarie e suscita speranze per le future missioni spaziali per confermare questa scoperta.

Venere, il lontano gemello della Terra

Sebbene Venere e la Terra abbiano caratteristiche simili in termini di dimensioni e densità, la loro composizione e abitabilità sono radicalmente diverse, rendendoli mondi molto distinti nonostante il loro soprannome gemello. Osservazioni dettagliate hanno infatti rivelato un ambiente ostile caratterizzato da atmosfera densa composta principalmente da anidride carbonica, con nubi di acido solforico e venti violenti. Questa densa atmosfera crea un intenso effetto serra che intrappola il calore e aumenta le temperature a livelli estremi, superando la temperatura ambiente 471 gradi Celsius in superficie.

Oltre alle sue temperature infernali, Venere è soggetta pressioni atmosferiche schiaccianti equivalenti a quelli avvertiti ad una profondità di un chilometro sotto gli oceani terrestri. Questa combinazione di calore estremo e alta pressione atmosferica crea un ambiente in cui le condizioni di vita come le conosciamo sulla Terra sono impossibili da sostenere.

Le discrepanze tra Terra e Venere si manifestano in modo sorprendente anche nella questione cruciale della presenza dell'acqua. Mentre l’acqua è abbondante sul nostro pianeta e svolge un ruolo vitale nella vita come la conosciamo, Venere è praticamente priva di questo prezioso liquido. È importante notare, tuttavia, che Venere una volta avrebbe avuto tanta acqua quanto la Terra, miliardi di anni fa. La sua posizione nella zona Riccioli d'oro del Sole ne autorizza teoricamente la presenza. Tuttavia, nel corso del tempo, il pianeta ha subito una drammatica trasformazione che ha portato alla sua scomparsa.

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Venere
Le prime immagini a colori riprese dalla superficie di Venere dalla sonda spaziale Venera-13. Crediti: NASA

Come ha fatto Venere a perdere la sua acqua?

Questa misteriosa scomparsa dell’acqua su Venere ha incuriosito a lungo gli scienziati. Recentemente, un team di ricercatori dell’Università del Colorado, Boulder, potrebbe aver fornito informazioni cruciali su questo intrigante processo. Nell'ambito del loro lavoro, i ricercatori hanno infatti individuato una molecola chiave potenzialmente responsabile di questo fenomeno. Più precisamente, questa molecola chiamata HCO+composto da un atomo di idrogeno, un atomo di carbonio e un atomo di ossigeno, sarebbe responsabile della conversione dell’acqua nei suoi componenti di base, idrogeno e ossigeno, che si disperderebbero poi nello spazio.

Per giungere a questa conclusione, i ricercatori hanno utilizzato sofisticati modelli computerizzati per simulare le reazioni chimiche nell’atmosfera di Venere. Le loro simulazioni hanno rivelato che l’HCO+ verrebbe continuamente prodotto nell’atmosfera venusiana, ma che questa molecola è instabile e si scompone rapidamente in ioni. Questi ioni, privi degli elettroni necessari per bilanciare la loro carica positiva, interagiscono quindi con altri componenti atmosferici, provocando la dissociazione dell'acqua nei suoi elementi costitutivi.

Questa scoperta costituisce un passo significativo nella comprensione della scomparsa dell'acqua su Venere e apre nuove prospettive per la ricerca futura su questo enigma planetario. Tuttavia, persistono sfide, inclusa la necessità di sviluppare strumenti in grado di rilevare HCO+ nell’atmosfera di Venere.

A questo proposito, missioni spaziali come DA VINCI, sviluppato dalla NASA e il cui lancio è previsto per il 2029, potrebbe svolgere un ruolo cruciale nel fornire dati aggiuntivi sulla composizione chimica dell'atmosfera venusiana. Anche se queste missioni potrebbero non essere attrezzate per rilevare direttamente l’HCO+, contribuiranno ad approfondire la nostra comprensione del pianeta e della sua complessa storia.

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I dettagli dello studio sono pubblicati sulla rivista Natura.





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