IL recente scoperta di fossili di alberi nel sud-ovest dell’Inghilterra ha rivelato l’esistenza di quella che oggi è considerata la più antica foresta conosciuta sulla Terra. Questi fossili, risalenti a 390 milioni di anni fa, sono più antichi di quelli della foresta fossile di Gilboa nello Stato di New York, che aveva 386 milioni di anni. Questa scoperta, che mette alla prova la nostra comprensione degli ecosistemi forestali primitivi, segna un’importante pietra miliare nello studio dell’evoluzione delle foreste sul nostro pianeta.
Sommaire
Alberi preistorici trasformativi
L’evoluzione degli alberi e delle foreste durante il periodo devoniano ha svolto un ruolo cruciale nella trasformazione del nostro pianeta. Stabilizzando il suolo e interagendo con l’atmosfera e i cicli dell’acqua, gli alberi hanno profondamente modificato gli ambienti terrestri.
A partire dalla metà dell’era Givetiana (circa 387-382 milioni di anni fa), un gruppo di alberi chiamati lignofiti (gli antenati degli alberi moderni che possiedono legno) divenne particolarmente influente nei processi naturali. Tuttavia, l’impatto delle foreste più vecchie, composte principalmente da cladossilopsidi (alberi preistorici che non erano legnosi come i lignofiti), è meno conosciuto e compreso, da qui l’interesse di questa nuova scoperta.
La più antica “foresta fossile” conosciuta
In un nuovo studio, un team di scienziati rivela l’esistenza di un’antica foresta di cladossilopsidi 390 milioni di anni nella formazione di arenaria Eifelian Hangman, situata nelle regioni del Somerset e del Devon, nel sud-ovest dell’Inghilterra. In precedenza, però, questa zona era considerata di scarso interesse paleobotanico, cioè in termini di fossili vegetali.
Tuttavia, oltre a rivelare i primi fossili di questo tipo di albero negli archivi britannici, questa ricerca mette anche in luce la più antica testimonianza fino ad oggi della disposizione spaziale degli alberiche, in parole povere, costituisce la più antica “foresta fossile” conosciuta.
Una copertura forestale molto diversa da quella odierna
Questa antica foresta non sembra aver trovato riparo una sola specie di pianta. Queste piante avevano un aspetto simile alle palme, con un lungo fusto centrale e rami che ricordano le foglie di palma, anche se in realtà sono solo un insieme di piccoli rami. Questi alberi, che misuravano alta dai due ai quattro metricomprendeva una foresta relativamente bassa per gli standard odierni.
I metodi di conservazione di questi alberi fossili sono notevoli: alcuni sono stati conservati come tronchi cavi pieni di sedimenti, mentre altri, tronchi caduti, sono stati compressi nel corso dei millenni, formando calchi all’interno del sedimento. Questi fossili, che portano ancora i segni dei rami, offrono uno sguardo unico sulla struttura e sulla composizione di questi alberi secolari.
Da notare che in quel periodo quello che oggi è il Regno Unito si trovava nel continente Laurentia, vicino all’equatore, e quindi beneficiava di un clima caldo e secco.
Questa foresta, inoltre, non solo rappresenta i primi alberi cresciuti in massa e fitti, ma testimonia anche un ecosistema in cui primi artropodi terrestri cominciavano ad emergere. I ricercatori hanno infatti trovato tracce di queste piccole creature nei sedimenti che circondano gli alberi fossili, il che indica una biodiversità emergente.
Questa scoperta avrà importanti implicazioni per la nostra comprensione dell’evoluzione degli ecosistemi forestali sulla Terra. Rivoluziona la nostra comprensione delle prime foreste sulla Terra, rivelando un ecosistema molto più antico e complesso del previsto. L’esistenza di questa foresta fossile, con i suoi alberi preistorici e le tracce di artropodi, ci offre uno sguardo unico sulla biodiversità che si stava sviluppando 390 milioni di anni fa. Evidenzia inoltre il ruolo chiave che questi ambienti primitivi hanno svolto nella trasformazione del nostro pianeta. L’analisi di questi fossili apre così nuove prospettive sull’evoluzione degli ecosistemi terrestri e sull’interazione tra la vita vegetale e animale dell’epoca.
I dettagli dello studio sono pubblicati in Rivista della Società Geologica.
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