“La lotta” per coprire i Giochi Paralimpici quando sei un giornalista a mobilità ridotta



Rampe per poltrone, audiodescrizioni, piccoli veicoli elettrici… A Parigi, tutto è stato pensato (a parte i bicchieri di plastica, impossibili da trasportare con le stampelle e le poltrone) affinché gli spettatori possano godersi lo spettacolo, e per fortuna, solo un caso questo meno attesa sembra essere la cifra dei giornalisti disabili, o più precisamente che camminano male.

Soffrendo di paralisi cerebrale dalla nascita e spostandomi con le stampelle, mi aspettavo di incontrare alcune difficoltà e purtroppo non sono rimasta delusa. “Non esitate a chiamarci se c’è qualche problema”mi è stato detto prima dell’inizio dei test. Ma i limiti dell’organizzazione mi sono diventati subito evidenti. Dalla cerimonia di apertura quando mi è stato detto che a causa della mancanza di una piattaforma nello stand dove erano seduti i miei colleghi, non potevo unirmi a loro.

Al termine di questa stessa cerimonia, il responsabile del servizio di carro elettrico mi ha inizialmente detto che non poteva portarmi attraverso il giardino delle Tuileries e riportarmi nella zona media perché doveva “gestire gli artisti”. All’Arena Champ-de-Mars dove bisogna lottare ogni giorno con la sicurezza per avere un accesso semplificato alla zona mista, nonostante l’accordo del responsabile stampa.

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Allo Stade de France, dove la polizia regolarmente impedisce che io venga lasciato nelle vicinanze, probabilmente non essendo stata informata della possibilità che un giornalista abbia una mobilità ridotta. Dove devi lottare per prendere l’ascensore ed arrivare in orario nella zona mista, perché lo usano troppe persone “normodotate”. Dove, quando la chiusura è un po’ troppo tardi, l’unica uscita disponibile è… dal lato opposto dello stadio.

Quindi, molto spesso, la dedizione e la gentilezza dei volontari permettono di trovare soluzioni. Ma sono tutte situazioni energivore che, se non rovinano il piacere di questi Giochi, raccontano la vita quotidiana delle persone a mobilità ridotta, in una società dove non tutto è pensato per tutti. Ne avrei fatto a meno per dedicarmi pienamente al mio lavoro, quello di giornalista come tanti.



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