La Luna potrebbe ancora ospitare vulcani attivi?


La Luna, la nostra fedele vicina celeste, sta gradualmente rivelando i suoi segreti più profondi. Uno studio basato sull’analisi di campioni lunari riportati dalla missione cinese Chang’e 5 suggerisce che il nostro satellite naturale ha sperimentato un’attività vulcanica molto più recente di quanto si credesse in precedenza. Questa scoperta potrebbe riaccendere il dibattito sull’evoluzione della Luna e le sue implicazioni per la futura esplorazione spaziale.

Tracce di un recente passato vulcanico

Per decenni gli scienziati ci hanno creduto vulcanismo lunare era un fenomeno del passato che risale a diversi miliardi di anni. Le vaste pianure laviche, chiamate mari lunari, erano la testimonianza di un’intensa attività vulcanica avvenuta all’incirca Da 3 a 3,8 miliardi di anni. Tuttavia, le cose sono cambiate con l’analisi delle minuscole perle di vetro presenti nei campioni di suolo lunare riportati dall’ missione Chang’e 5.

Queste perle di vetro, formatesi dalla fusione di rocce sotto l’effetto di un intenso calore, possono avere due origini: impatti di meteoriti O eruzioni vulcaniche. Studiando la composizione chimica di queste perle, i ricercatori hanno recentemente scoperto che alcune di esse presentavano caratteristiche tipiche dei vetri vulcanici. Inoltre, la datazione di questi campioni supporta la loro formazione ha solo 123 milioni di anniun periodo geologicamente molto recente.

Come possiamo spiegare questa attività vulcanica tardiva?

Gli scienziati avanzano diverse ipotesi, ma una delle più plausibili si basa sul presenza di elementi radioattivi nel mantello lunare. Mentre decadono, questi elementi, come l’uranio, il torio e il potassio, rilasciano calore. Nel corso del tempo, questo calore potrebbe essersi accumulato localmente, sciogliendo le rocce circostanti e creando sacche di magma. Sotto pressione, queste sacche di magma avrebbero potuto perforare la crosta lunare e dare origine a eruzioni vulcaniche.

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Le macchie marine irregolari, queste particolari formazioni geologiche osservate sulla superficie della Luna, corroborano questa ipotesi. Queste macchie, caratterizzate dalla bassa quota e dalla superficie liscia, sembrano infatti essere il risultato di colate laviche relativamente recenti. La loro composizione chimica, spesso arricchita di elementi radioattivi, suggerisce inoltre che potrebbero essere collegati agli hot spot lunari, zone dove il calore interno della Luna ha sciolto le rocce in profondità.

È importante notare che questa spiegazione non è l’unica possibile. Anche altri fattori, come impatti di asteroidi particolarmente energetici o processi tettonici ancora poco conosciuti, potrebbero aver contribuito all’attività vulcanica tardiva della Luna. Ulteriori studi, in particolare sulla composizione isotopica delle rocce lunari, permetteranno di chiarire i meccanismi in gioco e di comprendere meglio l’evoluzione termica del nostro satellite.

Vulcani lunari
I tecnici rimuovono la scatola dei campioni dalla navicella spaziale cinese Chang’e 5 che ha riportato sulla Terra il suolo lunare e le rocce nel dicembre 2020. Crediti: Osservatori Astronomici Nazionali, CAS

Una Luna ancora attiva?

Se il vulcanismo lunare persistesse fino ad un periodo così recente, potrebbe essere attivo ancora oggi? Alcuni ricercatori evocano l’esistenza di fenomeni lunari transitori, bagliori osservati sulla superficie della Luna e attribuiti da alcuni ad eruzioni vulcaniche. Sebbene queste osservazioni siano controverse, alimentano l’idea di una Luna in continua evoluzione.

La scoperta di una recente attività vulcanica sulla Luna avrà comunque importanti implicazioni per l’esplorazione spaziale. Se la Luna è effettivamente ancora geologicamente attiva, ciò significa che il suo ambiente è più dinamico del previsto. I futuri astronauti dovranno quindi tenere conto di questo fattore nella progettazione delle basi lunari e delle missioni con equipaggio. Inoltre, la presenza di risorse geotermiche potrebbe offrire nuove prospettive per lo sfruttamento della Luna.

I dettagli dello studio sono pubblicati sulla rivista Scienza.

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