Non smette mai di ridere, rivolgendosi a Haby Niaré, il suo allenatore. Djelika Diallo, recente medaglia d’argento nel para-taekwondo (meno di 65 kg), la prima della storia, fatica a nascondere la sua timidezza davanti ai pochi giornalisti presenti. A 19 anni scopre i suoi primi momenti di gloria e non è sempre facile avvicinarsi. Ma la sua felicità da campionessa si trasmette a perdita d’occhio. La sua medaglia al collo, il viso ancora infantile, lo sguardo meravigliato, Diallo sta uscendo da una giornata che non dimenticherà mai.
“Come ti senti dopo questa medaglia d’argento?
Non sono deluso di essere secondo, sono anzi molto orgoglioso e ringrazio il mio allenatore. La giornata è stata un po’ complicata e ho saputo mettermi in discussione e lottare. Davvero, sono orgoglioso di essere lì con la medaglia.
Anche dopo la sconfitta in finale ti sei fatto un giro d’onore con il tuo avversario…
Ho perso, ma comunque questi sono i miei primi giochi. Ho 19 anni, è un onore con tutto l’impegno che ho messo in questi cinque anni. E qui sono salito sul podio, che era il mio obiettivo.
Come ti sei avvicinato al taekwondo?
In realtà non ho fatto nessuno sport. E sono stato notato grazie ad un’iniziazione con il signor Oury Sztantman durante una giornata sportiva a scuola. Colgo l’occasione per ringraziarlo, sono qui grazie a lui. Ha visto che avevo un po’ di forza nelle gambe (ride)…E la giornata era magica.
“Erano anni che non facevo tutto questo per non tornare a casa con una medaglia”
Cosa pensi del pubblico?
Era presente. Non abbiamo mai avuto un pubblico così intenso nel par. Cambia. C’era la mia famiglia, i miei genitori. L’atmosfera era impressionante, era troppo bello da vedere prima della finale al mio ritorno, ma dovevamo restare concentrati.
Non è stato troppo difficile da gestire?
Quando ho iniziato la giornata, ero molto stressata perché dovevo portare con me la campionessa olimpica in carica (la danese Lisa Kjaer). Erano anni che non facevo tutto questo per non tornare a casa con una medaglia. E quando ho segnato il punteggio d’oro, non potevo crederci!
Hai avuto degli scontri duri, vero?
Soprattutto questa prima partita perché è quella che ha definito il resto della competizione.
Hai un rapporto speciale con Haby Niaré, il tuo allenatore. Cosa potresti dire a riguardo?
È una sorella maggiore, è la mia allenatrice, è la mia vita, è la mia stella, il mio esempio… (Gli cade tra le braccia ed i due scoppiano a ridere… Interviene Niaré: « Mi chiama ancora la mia vita! »)
Ti senti calmo, timido. Ti rendi conto di aver lasciato il segno nella storia del tuo sport?
(Lei ride) Anche io ero scioccato, non credevo di essere io. Quando ho visto il video ed ero in semifinale, non potevo crederci. È stato incredibile!
Come hai vissuto l’attesa prima della finale?
Ero già orgoglioso di essere in finale, ai Giochi e anche a Parigi! Dovevo semplicemente dare il meglio di me.
Cosa farai stasera?
Magari faremo festa (ridere).
Haby Niaré ha parlato dell’oro a Los Angeles…
Sì, naturalmente. L’obiettivo era Parigi ma ora è finita. Dobbiamo continuare l’avventura. »
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