Un team di astronomi ha appena fatto una rivelazione spettacolare. Infatti, ha individuato il buco nero stellare più massiccio mai rilevato nella nostra galassia, la Via Lattea. Questa scoperta è stata resa possibile grazie ai dati della missione Gaia dell'Agenzia spaziale europea che hanno rivelato uno strano movimento oscillatorio della stella compagna in orbita attorno a questo monumentale buco nero. Le osservazioni del Very Large Telescope (VLT) dell'Osservatorio Europeo Australe (ESO) e di altri osservatori a terra hanno successivamente confermato la massa di questo buco nero.
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Buchi neri stellari e supermassicci
Si tratta di due tipi di buchi neri che differiscono principalmente per massa e origine. I buchi neri stellari sono infatti formati da collasso gravitazionale di una stella massiccia alla fine della sua vita. Nel dettaglio, quando una stella massiccia esaurisce il suo combustibile nucleare, non riesce più a sostenere la pressione gravitazionale e collassa su se stessa. Se la massa della stella morente è sufficientemente elevata (di solito diverse volte quella del Sole), il collasso gravitazionale può comprimere la materia in uno spazio estremamente piccolo, formando un buco nero stellare. I buchi neri stellari hanno una massa relativamente modesta rispetto ad altri tipi di buchi neri, tipicamente fino a qualche decina di volte la massa del Sole.
Buchi neri supermassicci vengono trovati al centro delle galassie e hanno masse estremamente elevate, che vanno da milioni a diversi miliardi di volte la massa del Sole. La loro origine è ancora oggetto di dibattito, ma si pensa che si formino o dall'accumulo di materiale proveniente da diverse stelle e nubi di gas nel nucleo galattico, o dalla fusione nel tempo di buchi neri stellari più piccoli.
Questo buco nero è una scoperta straordinaria
I buchi neri di massa stellare precedentemente identificati nella nostra galassia lo erano in media dieci volte più massiccio del nostro Sole, da qui l'interesse di questa nuova scoperta. Un team di ricercatori annuncia di aver individuato un buco nero 33 masse solari nella nostra galassia. Situato solo 2.000 anni luce dalla Terra nella costellazione dell'Aquila, è anche il secondo buco nero stellare più vicino mai scoperto.
L'identificazione di questo oggetto, soprannominato Gaia BH3, è stata il risultato di un'attenta analisi dei dati raccolti dalla missione Gaia dell'Agenzia spaziale europea. Ricordiamo che Gaia è una missione spaziale il cui obiettivo principale è mappare la Via Lattea in tre dimensioni misurando con una precisione senza precedenti le posizioni, i movimenti e le proprietà fisiche di oltre un miliardo di stelle nella nostra galassia.
Concretamente, questo oggetto è stato avvistato grazie ad un comportamento insolito osservato nella stella compagna che gli orbita attorno. Presentava un movimento oscillante, che suscitò l'interesse degli astronomi e portò a ulteriori indagini su questo misterioso oggetto.
Per confermare la natura del buco nero e determinarne con precisione la massa, il team di ricerca ha utilizzato i dati raccolti dallo strumento Ultraviolet and Visual Echelle Spectrograph (UVES) installato sul Very Large Telescope (VLT) dell'Osservatorio Europeo Australe (ESO), situato a Chile. L'UVES è uno spettrografo ad alta risoluzione in grado di analizzare in dettaglio lo spettro luminoso delle stelle e degli oggetti celesti, fornendo informazioni cruciali sulla loro composizione chimica, temperatura e movimento.
Nato da una stella primitiva
IL osservazioni effettuato con UVES ha permesso agli astronomi anche di studiare in dettaglio la stella compagna di Gaia, BH3. L'analisi del suo spettro luminoso ha rivelato caratteristiche distintive che indicano che questa stella lo era molto basso in metalli, cioè conteneva pochissimi elementi più pesanti dell'idrogeno e dell'elio. Sappiamo però che le stelle dello stesso sistema binario hanno spesso composizioni chimiche simili, perché si formano dalla stessa nube di gas e polvere. Quindi, quando si osserva che la stella compagna è povera di metalli, ciò suggerisce che la sua stella madre, che è collassata per formare il buco nero, condivide anche questa caratteristica.
Questa scoperta è significativa perché conferma un'importante ipotesi riguardante la formazione di buchi neri stellari massicci. Secondo la teoria, loro si formerebbero infatti da stelle che hanno un basso contenuto di metalli. Questi ultimi si distinguono per la loro composizione chimica primitiva che riflette le condizioni dell'universo poco dopo il Big Bang.
Le future osservazioni di questo sistema, in particolare con lo strumento GRAVITY sull'interferometro VLT dell'ESO, potrebbero consentire agli astronomi di comprendere meglio l'interazione tra questo enorme buco nero e il suo ambiente. Questa ricerca potrebbe rivelare dettagli affascinanti sulla storia di questo sistema e sulla natura stessa dei buchi neri stellari, aprendo così nuove prospettive sui misteri dell’Universo.
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